giovedì 31 dicembre 2009

Risorgimento

“.. finchè continueremo con le liturgie paramassoniche che ripetono i rosari laici garibaldini, andremo poco lontano.” Il professor Morganti riassume in queste poche righe, che pone a conclusione del suo brillante articolo pubblicato nel numero di novembre della rivista “Area”, quello che è anche il mio pensiero in merito alla questione dei festeggiamenti per il 150° anniversario dell’unità, ormai prossimo venturo. Espongo alcuni dei punti sfiorati dal professore nell’articolo, che ha come tema di fondo l’idea che gli italiani si meritino, ormai, una rilettura dei fatti risorgimentali più serena ed obbiettiva di quella che c’è stata presenatata finora.
Tra il 1859 ed il 1870 sono sorte le quattro questioni italiane, che non sono ancora state risolte: questione meridionale, questione cattolica, questione nazionale e questione del nord (dovuta soprattutto alle modalità con le quali è stato conquistato il veneto). Ciò sarà dovuto al modo con cui si è concretizzato il processo di unificazione nazionale? Sembra assurdo pensare il contrario. In particolare è palese come lo stato realizzato dal Savoia e da Rattazzi e c.(centralista e giacobino) sia stato il più inadeguato, lontano ed astratto dalle esigenze dei popoli della penisola, ognuno con una storia ed una cultura diversa dagli altri.
Mentre lo storico Medici, nelle stesse pagine del dossier dedicato al risorgimento, analizza in modo più specifico la tragedia dei meridionali “liberati” dai piemontesi, in particolare dei prigionieri di guerra borbonici. Decine di migliaia di questi (si, proprio decine di migliaia) furono deportati nelle carceri del nord e lasciati morire di fame e di freddo, in quanto non rinnegarono la fedeltà a Re Francesco II. Già nel 1860, si arruolarono nell’esercito sardo circa 20000 uomini del sud, sui 72000 previsti: gli altri si rifiutarono di farlo, e furono definiti “briganti”.
Che dire? Mentre qualcuno (stile ex presidente Ciampi) continua a strepitare per i (presunti) scarsi fondi dedicati alle celebrazione del 2011, c’è anche chi si batte per far conoscere la storia (tutta, la storia). Noi dal canto nostro li ringraziano e ci impegniamo a diffondere i loro lavori

sabato 19 dicembre 2009

Su "Il sangue dei vinti"

Quando, nel 2003, uscì “Il sangue dei vinti”, per la prima volta veniva portato all’attenzione del grande pubblico uno dei fenomeni più drammatici della storia d’Italia, di cui si era tentato di far perdere completamente la memoria: la strage impunita di decine di migliaia di vinti avvenuta all’indomani della fine della guerra ed operata prevalentemente da partigiani comunisti. Dal successo editoriale del libro si sviluppò un caso socio-culturale: politici, anpi varie e uomini di cultura legati alla sinistra attaccarono la “pericolosa moda revisionista” trincerandosi dietro una dogmatica difesa della retorica resistenziale (quella che già trent’anni fa il De Felice definiva “vulgata”) mentre a destra l’opera, che pure non diceva niente che non sapessimo già (bastava aver letto uno dei libri di Pisanò) fu ovviamente apprezzato e spesso interpretato come una rivincita su quella che era stata la cultura egemone e la storia insegnata a senso unico.
Da registrare che l’autore, Giampaolo Pansa, è un giornalista di sinistra, di indubbia formazione antifascista.
Nei giorni scorsi, il 6 e 7 dicembre, la Rai ha trasmesso l’omonima versione televisiva che, devo dire, non ha riscosso un grande successo nel nostro mondo.

Questa in soldoni la trama del film: nel luglio del ’43 viene uccisa una prostituta. Francesco, commissario di polizia, indaga sulla sua morte. Suo fratello minore, il militare Ettore, da lì a poche settimane entra nella resistenza e diventa partigiano. Invece la loro sorella, una ragazza venticinquenne che aveva perso il marito, ucciso da un’azione dell’aviazione Usa contro un pulman di civili, decide in seguito di arruolarsi nelle Brigate Nere. Solo Francesco, che ha un impegno morale con la figlia della donna uccisa perché le aveva promesso di arrestare gli assassini della madre, non si schiera e continua il suo mestiere come prima. Nessuno della sua famiglia sopravviverà alla fine della guerra: gli anziani genitori saranno uccisi da un commando di partigiani per punire l’appartenenza della figlia alla Rsi, Ettore sarà ucciso da un cecchino delle Bn e la sorella sarà a sua volta violentata e uccisa dai partigiani. Il film si conclude nel momento in cui Francesco, trent’anni dopo, ormai anziano, riesce a scoprire la fossa comune in cui fu seppellita la sorella.
“Ettore ha avuto una medaglia come eroe di guerra e una degna sepoltura, tu sorellina no. Ma ora ti ho ritrovata...” Queste (cito a memoria) le parole commosse dell’uomo in quel momento.

Mi chiedo ora: perché nel nostro mondo non è piaciuto?
I motivi ci sono. Innanzitutto una scarsa aderenza al testo di Pansa, che si apre proprio il 25 aprile, e descrive torture, uccisioni e vendette contro fascisti, presunti tali, e presunti parenti dei tali, portate avanti addirittura per degli anni. Il film invece termina quando finisce la guerra. In questo senso non è piaciuta neanche la storia commovente della bimba e della madre ammazzata, che esula dai temi della guerra ma fa da sfondo all’intero film. Non mancano i soliti cliché : i tedeschi sono presentati come i soliti assassini pazzoidi che non sanno fare altro che sparare a un bambino alle spalle (e dire che a mia nonna all’epoca decenne hanno regalato la marmellata per quasi due anni e a spararle non ci hanno mai neanche pensato).
Queste critiche sono in parte condivisibili, ma dico subito che a me il film è piaciuto. Mi è sembrato toccante e assolutamente credibile. E non solo in nome di un “chi s’accontenta gode”, in quanto non abbiamo più davanti la risibile commedia dei buoni tutti da una parte e dei cattivi tutti dall’altra ecc..
Gli attori, tutti di primo piano(Preziosi, Placiso,Bobulova..) hanno recitato in modo convincente. E soprattutto è stato descritto in modo efficace il dramma della guerra civile nel momento in cui ha portato intere famiglie a dividersi sulla scelta da fare. E il finale, che ho descritto poco fa, vale più di mille parole.
Sono tanti gli appunti ulteriori che si potrebbero fare, ad esempio: perché non si evince chi ha voluto e alimentato la guerra civile? Non certo i neri, come sappiamo. Ma non dimentichiamoci che stiamo parlando di uno sceneggiato televisivo, non di una ricerca storica. Un film nel quale per la
prima volta (con forse l’unica eccezione de “La guerra è finita”) sono stati rappresentati dei fatti con lo sforzo di illustrare anche il nostro punto di vista.

E comunque, se proprio non vi è piaciuto, consolatevi: almeno, grazie alla trasmissione del film, tra pochi giorni vi potrete divertire leggendo su “Il venerdì” l’imperdibile stroncatura dello “strisciante revisionismo fascista” da parte del partigiano (ex fascista) Giorgio Bocca !!!